Dialogo spirituale-un popolo aiuta un altro popolo

Questa definizione è frutto dell’incontro tra alcuni rappresentanti dei Lakota Oglala provenienti dalla Riserva di Pine Ridge in Sud Dakota (USA) con il Geshe Lha Lobsang Tenkiong, monaco tibetano, laureato presso l’università monastica di Sera Jè in India, dottore in teologia tantrica, originario della regione del Kham (Tibet orientale). I nomi dei Lakota sono: Cecil Francis Cross, James Clement Cross e Justin Cross-Poor Bear. Cecil Cross è un WICHASHA WAKAN (uomo sacro) e suo figlio James è membro del Consiglio Tribale a Pine Ridge.

“Dialogo spirituale” è l’espressione voluta dai Lakota, “Un popolo aiuta un altro popolo” è quella voluta dal Geshe Lha: assieme racchiudono anche una prospettiva di trasmissione culturale, lavoro concreto e ricerca intellettuale.

Premessa: siamo in Val Saviore, una convalle della media Valcamonica, sul versante orografico sinistro del fiume Oglio, anticamente una delle porte orientali del “Santuario Camuno del Cervo” (nella definizione di Mircea Eliade ed Alain Danielou ndr.), il quale con oltre trecentomila incisioni rupestri classificate, distribuite su un arco temporale di oltre 10.000 anni, è il primo sito per l’Italia della Lista del Patrimonio Culturale Mondiale dell’UNESCO (1979). Nel villaggio di Saviore dell’Adamello, l’ultimo della valle a 1200 s.l.m. è attivamente presente da più di trent’anni la nostra associazione: sezione del Gruppo Italiano Amici della Natura, federazione della Naturfreunde Internationale, fondata a Vienna nel 1895.

Dall’inizio: nei primi giorni del mese di aprile del 1995 eravamo in Francia a Strasburgo nella sede del Parlamento Europeo per la consegna di una petizione sottoscritta da oltre 7000 cittadini che chiedeva l’istituzione di un Parco Europeo comprendente tutte le aree protette delle Alpi Retiche italiane e dell’Engadina in Svizzera, che contenesse al suo centro il patrimonio culturale della Valcamonica. Al termine dell’incontro con il Presidente, il nostro patrocinatore, il compianto Alexander Langer, co-presidente del gruppo dei Verdi, ci invitò all’incontro con Ola Cassadore Davis, la grande capa degli Apache San Carlos, che, nella sala della commissione “Diritti dei popoli” denunciava la profanazione di DZIL N’CHAA SI AN (La Grande Montagna Seduta- Monte Graham), la montagna sacra al suo popolo. Fu un discorso forte e commovente al termine del quale ci venne chiesto di parlare: le chiedemmo di unire le nostre battaglie; Ola, due anni dopo venne a Saviore ad incontrare i partigiani reduci della guerra al nazifascismo inquadrati nella 54esima brigata Garibaldi, che combatté in Valsaviore e ad incontrare le donne portatrici delle conoscenze delle erbe e piante officinali.

I regali degli Apache: alla prima visita di Ola a Saviore ne seguirono altre tre, una di Raleigh Thompson, autorevole membro del Consiglio Tribale dei San Carlos per più di quindici anni e due di Wendselr Nosie Presidente del Consiglio Tribale per due mandati.

1°) Il discorso di Ola nella chiesa di Sant’Antonio a Saviore, durato due ore, alle presenza della cittadinanza e delle autorità, compreso il parroco, nel quale parlò del suo mondo, della sua famiglia (suo nonno Cassadore è stato un famoso combattente accanto a Geronimo), di come cacciava il cervo con suo padre, della spiritualità Apache, di cos’è una montagna sacra (la montagna sacra unisce il popolo) e la denuncia della complicità della Specola Vaticana nella profanazione di DZIL NC’HAA SI AN.

2°) Era pomeriggio, il sole faceva filtrare raggi bianchi enormi attraverso le nuvole e noi vedemmo Ola pregare: “Perché preghi?” le chiedemmo: “Non vedete che il sole ci sta parlando? E voi non gli rispondete?” Ci disse.

3°) La commozione e le preghiere di Ola nei cimiteri partigiani e le sue parole: “Siete un popolo riconoscente perché avete seppellito i vostri eroi nella terra sacra dei villaggi”

4°) Durante la sua visita, l’anno successivo (1998) portammo Raleigh Thompson all’interno di un riparo sotto-roccia sul torrente Salarno, poco lontano da Saviore, luogo di culto riferibile al primo millennio A.C. sviluppato su tre pareti di roccia, con una pietra-altare rettangolare orientata nelle quattro direzioni al centro, un antropomorfo inciso al centro delle rocce spioventi e l’ingresso rappresentato da un ruscello. “E’ vivo” ci disse e quando gli chiedemmo di spiegarci questa affermazione volle che tornassimo con lui prima dell’alba del giorno successivo. Al buio: “Qui c’è un fiore che per vivere ha bisogno della vostra acqua, qui potete portare le vostre domande e quando arriva la prima luce potete ottenere le risposte, e non andatevene mai senza avere fatto la circumambulazione destra”.

5°) Nei viaggi in macchina Raleigh cantava spesso: alla nostra domanda: “Perché canti Rolly?”, la sua risposta era: “Canto perché sono venuto ad incontrare persone che vogliono cambiare con il sorriso”.

6°) Una sera ci raccontò che, nella sua qualità di membro del Consiglio Tribale, era stato invitato dal governo federale a Washington D.C. a ritirare il teschio di Geronimo: “Mi consegnarono il teschio di un bambino in una teca di vetro: quel giorno invecchiai improvvisamente di un anno e molti dei miei capelli divennero bianchi” . ( Il trafugamento del teschio di Geronimo da Fort Sill nell’Okahoma, dov’era sepolto, ad opera di membri dell’associazione esoterica “Skull and Bones”, è documentato da numerosi articoli apparsi su giornali americani ed anche, in Italia, dal “Corriere della sera”. Ndr.)

7°) Un pomeriggio ci disse che eravamo quasi apache e che potevamo fare la capanna sudatoria apache nel modo “tradizionale”, cioè sacro. Contemporaneamente disse: “Tutto quello che abbiamo regalato ai nostri amici bianchi, loro ce l’hanno rubato”.

8°) Lo accompagnammo a Roma per una conferenza su DZIL NC’HAA SI AN, le sue prime parole furono: “Voi italiani siete molto fortunati, avete una grande Montagna Sacra: l’Adamello”.

9°) Due volte venne a Saviore Wendsler Nosie, la prima volta appena entrato nel nostro rifugio ci disse: “Guardatevi dall’egoismo e dall’avidità”. Lì per lì sembrò quasi un’affermazione ovvia; l’avremmo capita, sulla nostra pelle, nel corso di tutti gli anni successivi.

10°) “Si vedono cervi qui?” ci chiese un giorno Wendsler, rispondemmo: “Sì a volte si vedono, ma scappano subito”; ci disse: “Il cervo ti vede si ferma, ti dice tutto quello che ti deve dire e poi con calma se ne va”.

11°) Un mattino Wendsler raccolse dal ruscello che rappresenta la porta simbolica del riparo sotto-roccia quattro sassolini bianchi che portò con sé in Arizona. L’anno successivo tornato a Saviore ci disse: “Le vostre sono montagne sacre femminili e gli spiriti-angeli G’AAN di DZIL NC’HAA SI AN sono arrivati qui trasportati dalle nuvole”. ( Due anni dopo, per la prima volta, venne diffusa una fotografia fatta in Val Miller, una valle del versante meridionale dell’Adamello, che rappresentava un viso femminile gigantesco, alto più di cento metri, visibile in particolari condizioni di luminosità ed i giornali parlarono della “Dama dell’Adamello”. Mandammo la fotografia a Wendsler che ci rispose: “come sempre: senza fotografia non ci credevate” ndr.).

12°) Nel corso del suo secondo viaggio Wendsler ci portò il testimone della “Corsa Sacra” che gli Apache fanno tutti gli anni dalla Riserva alla vetta di DZIL N’CHAA SI AN. Si tratta di un ramo biforcuto con appesa una penna d’aquila e due piccole pietre: una blu per gli uomini e una bianca per le donne. Ci disse che se lo avessimo accettato avremmo potuto fare quattro corse sacre su un ramo e quattro sull’altro, partendo per il cammino al buio, ma dovevamo trovare ogni anno una penna d’aquila sulla nostra montagna. Accettammo e gli chiedemmo il significato del ramo biforcuto: “Uno è il ramo del sì, l’altro è il ramo del no, perché il ramo del forse c’è solo per gli uomini bianchi”. ( Quest’anno saliremo per il diciannovesimo anno consecutivo sul monte Re di Castello a quasi tremila metri di altezza, portando il terzo testimone biforcuto con la diciannovesima piuma d’aquila e la nostra solidarietà alla lotta degli Apache. ndr.).

L’arrivo dei Lakota a Saviore: diciannove anni fa, al ritorno dalla prima Corsa Sacra trovammo al rifugio due Lakota provenienti dalla Riserva di Rosebud in Sud Dakota, (con loro c’erano gli amici del “Cerchio”). Si informarono sui nostri rapporti con gli Apache e per quasi dieci anni non si sentirono più. Finché, più di dieci anni fa, nella Riserva di Pine Ridge, i Lakota chiesero ad un gruppo di italiani di poter venire in Italia. Arrivarono così a Saviore.

I regali dei Lakota: “Eravamo razzisti”, ci disse Cecil Cross, “ma questo era contro la natura e la cultura del nostro popolo, Lakota, infatti significa, amico e alleato”.

1°) Una sera chiedemmo a Cecil di insegnarci alcune parole in lingua lakota, ci rispose che preferiva insegnarci una canzone: la canzone del ringraziamento. Fu così che imparammo la PILAMA song.

2°) I riti e le cerimonie sacre: l’INIPI e la ricerca della visione. E’ stato il modo più semplice e diretto con il quale siamo entrati nel loro mondo ed anche quello attraverso il quale loro sono entrati nel nostro, a partire dal fatto che hanno orientato l’apertura della capanna sudatoria sulla Concarena, una delle due montagne sacre (l’altra è il Pizzo Badile Camuno) le quali, poste una di fronte all’altra, racchiudono la grande maggioranza delle rocce incise in Valcamonica.

3°) Una mattina di pioggia leggera siamo entrati nella Riserva archeologica di Foppe di Nadro, la più grande della valle. Con i tre Lakota ci siamo fermati a lungo sulla roccia numero 1, quella dalla quale si può osservare meglio il tramonto del sole nella fessura vulvare della Concarena nei giorni degli equinozi. Osservarono e toccarono i cerchi neolitici con il punto centrale e gli oranti ad essi collegati: “Questi simboli li hanno fatti i nostri antenati”, ci dissero.

4°) Durante un inverno insegnammo la PILAMA song ai bambini della scuola elementare di Cedegolo, un piccolo comune all’imbocco della Val Saviore. La cantarono a Cecil che si commosse e decise di insegnarcene molte altre.

5°) Otto anni fa decidemmo di cantarle, come attività di volontariato, con gli ospiti del centro diurno del “Cardo”, una cooperativa sociale di Edolo, un grosso comune della Valcamonica. Fummo, in questo fortemente incoraggiati dai Lakota che considerano i cosiddetti disabili, in realtà, “Persone che parlano con la voce di WAKANTANKA, quindi sacre: capaci di essere tramite e portavoce del Grande Spirito o Grande Mistero, persone che conoscono le parole che serviranno a salvare il popolo quando il popolo sarà in pericolo”. Da allora, ininterrottamente, ogni venerdì mattina, con tamburi e legnetti sviluppiamo un’attività molto apprezzata da ospiti ed operatori.

6°) Numerosi sono stati, nel corso degli anni, gli incontri con cosiddetti disabili di varie cooperative ed associazioni, di particolare interesse quelle con ospiti dell’ANFAAS e con gruppi Down, sempre coinvolti dai canti e dal suono dei tamburi.

7°) Importanti e numerosi i momenti di incontro con detenuti e detenute, sia condannati a lunghe pene detentive, sia, con i minori dell’Istituto Beccaria di Milano. Sono sempre stati coinvolti nei canti e, più volte, nel rito dell’INIPI, durante il quale e dopo, momenti di riflessione anche molto intensi e commoventi, hanno visto i Lakota parlare apertamente dei problemi dei loro ragazzi e più in generale delle difficoltà della vita nella Riserva.

8°) Viaggio in Bosnia-Erzegovina. Nell’estate del 2016 siamo stati a Sarajevo e a Srebrenica con Cecil Cross, il Geshe Lha, presente con noi in spirito, non ha potuto esserlo fisicamente a causa della mancanza del visto. A Sarajevo abbiamo incontrato l’associazione “Udrujenie Oaza” che opera da cinquant’anni per il sostegno ai cosiddetti disabili ed ha continuato a farlo anche durante gli anni terribili della guerra e dell’assedio, anche lì abbiamo cantato le canzoni sacre. A Srebrenica abbiamo piantato un TEPEE e iniziato una riflessione sulla tragedia del genocidio che ha colpito quella comunità nel 1995, i Lakota nei secoli della conquista ed i tibetani dall’invasione cinese. Oltre ai canti ed alle offerte del pane del ramadan da parte di molte persone (è un popolo umile quello che offre il pane ci ha detto Cecil)  abbiamo visitato il memoriale di Potocari dove Cecil ha curato la nostra costernazione ed angoscia con la salvia bianca. Siamo stati in una necropoli bogomila all’interno della quale Cecil ha trovato dei simboli comuni a quelli che presso i Lakota rappresentano WAKANTANKA. Il momento più alto del viaggio è consistito nel rito della CHANUPA, la sacra pipa, sul libro sacro dei musulmani: il corano; al rito hanno partecipato anche musulmani bosniaci. Abbiamo anche cantato spesso la canzone della Resistenza “Bella Ciao” con figli dei partigiani Jugoslavi: la canzone, per volontà di Cecil, è diventata una canzone sacra da cantare nell’INIPI.  

9°) La scorsa estate Cecil Cross, assieme al Geshe Lha, ha condotto una “cerimonia dell’acqua” sul torrente Grigna, uno dei maggiori della media Valcamonica. Al rito hanno partecipato numerosi cittadini ed è stato voluto dai membri del “Comitato per il torrente Grigna” che da anni si batte per la difesa del corso d’acqua da speculazioni e interessi impropri. Si è voluto così unire spiritualmente la lotta dei Nativi di Standing Rock a quella dei camuni. A questo importante momento, ed a tutte le cerimonie dell’acqua che abbiamo fatto nel corso dell’estate, ha partecipato spiritualmente anche Raymond Ruka, uomo sacro del popolo Maori di Nuova Zelanda. 

10°) Le escursioni con i Lakota nelle valli dell’Adamello e sulle montagne limitrofe sono sempre state occasioni per cerimonie sacre, incontri con la forza della natura e con i misteri che essa contiene. La preghiera dei Lakota è sempre di una intensità e potenza che porta loro e noi alle lacrime. Un giorno abbiamo chiesto al gesuita padre John Cappelleto, fondatore dei “Ricostruttori” cosa pensasse del nostro rapporto con i Lakota, la sua risposta fu: “Sono i grandi maestri della preghiera”.

11°) Un giorno, durante un’escursione in una delle valli alte dell’Adamello, la Val d’Adamè, Cecil raccolse in modo sacro, alcuni rametti di ginepro nano, stava ancora pregando quando una nuvola ci avvolse: “E’ il fiato di TUNKASHILA” ci disse e ci spiegò, poi, che era una pianta sacra ai Lakota come la salvia bianca. Tornati in paese chiedemmo se mai era stato usato come pianta medicinale o sacra, nessuno sembrava ricordarsene, finché tre sorelle molto anziane ci dissero che c’era a Saviore una cerimonia, chiamata processione dei ginepri, ma che era stata interrotta da almeno sessant’anni: consisteva nella raccolta del ginepro da parte delle donne, nel giorno di San Marco (25 aprile):   ginepro che veniva poi benedetto durante la messa e che veniva messo all’entrata delle case sulla molla del fuoco, incrociata con la paletta per tenere lontano le malattie e le disgrazie. Ne parlammo anche con il parroco: da cinque anni la comunità ha ripreso il rito. Il Geshe Lha ci ha detto che anche in Tibet il ginepro è una pianta apotropaica e largamente usata.

12°) Un giorno eravamo alle cascate del Sellero, un luogo selvaggio, ricchissimo d’acqua e sotto il Passo del Sellerino che collega la Valcamonica alla Valtellina attraverso un sentiero che passa dal lago Nero, una piccola Avalon, con un’isoletta e una grande roccia che porta incisioni rupestri riferibili al primo millennio A.C. Cecil, al termine della cerimonia della CHANUPA, la sacra pipa, raccolse da terra una scheggia di selce blu, tipica degli strati basaltici della Lessinia e del Monte Baldo in Veneto (si tratta delle montagne dalle quali si è estratta la selce utilizzata, fin dal Paleolitico superiore, su tutte le Alpi e le pianure sottostanti, anche il coltello di Oetzi è fatto con quella selce. Ndr.). Da alcuni anni gruppi di camminatori fanno la “Via della selce” camminando dal Monte Baldo a Saviore.

13°) La cerimonia delle donne: un giorno Cecil ci chiese di parlargli della storia della Valcamonica, gli parlammo delle donne chiamate streghe, dei sabba documentati da lettere e testimonianze che si tenevano al Passo del Tonale e che coinvolgevano più di 2500 donne e uomini, del ruolo nelle comunità delle donne ostetriche e curatrici, della caccia alle streghe, dei processi e dei roghi che infestarono la valle per secoli. Ci interruppe chiedendoci, per favore, di non usare più l’espressione streghe. “Erano e sono donne sacre, WAKAN WI in lingua lakota”, ci insegnò il canto delle WAKAN WI ed il rito nel quale inserirlo, incoraggiandoci a farlo in un sito rupestre chiamato Plot della Campana, situato poco sopra l’abitato di Saviore, accanto ad un grande masso di tonalite contenente numerose coppelle e ad altre rocce piatte coppellate poco distanti. Il sito è riconosciuto dal Centro Camuno Studi Preistorici come luogo di culto ed un castelliere poco distante (II millennio A.C.) potrebbe aver ospitato, nel primo millennio A.C. un collegio druidico femminile.

I regali del Geshe lha: l’arrivo del Geshe Lha Lobsang Tenkiong a Saviore sette anni fa, ha rappresentato un grande arricchimento per tutti. La sua profondità capace di esprimersi nella estrema semplicità ha colpito molto i Lakota che l’hanno definito: “Uomo di una parola”.

1°) “Il fuoco sacro che nutre gli esseri senzienti ed i signori della montagna” è un rito molto importante nella tradizione tibetana, non solo buddista ma anche della religione del “Bon” e risale alle origini sciamaniche della spiritualità del popolo delle nevi. Consiste nel bruciare in un grande falò il cibo che ci si accinge a mangiare coprendolo con rami di ginepro e conifere per fare molto fumo. “Perché noi mangiamo il cibo, ma anche il cibo mangia noi”.

2°) La sua partecipazione all’INIPI, all’interno della quale entra in profonda meditazione sui “tre inferni”, quello del calore, quello del freddo e quello della fame e sulle loro cause.

3°) Un giorno, durante un’INIPI, ci ha detto che non eravamo solo fratelli, essendo tutti insieme nel ventre della madre, ma eravamo gemelli.

4°) La sua frequente partecipazione ai canti del venerdì mattina al centro diurno di Edolo con i cosiddetti disabili ed il suo contributo spirituale ed intellettuale a questa attività, intendendo per contributo anche le sue riflessioni sulla necessità di esercitare l’arte del non attaccamento nei confronti del dolore degli altri.

5°) La prima volta che ha incontrato Cecil ha voluto allacciargli le scarpe.

6°) L’insegnamento del sutra del cuore, centro e snodo di tutta la spiritualità e filosofia buddista tibetana e del mantra fondamentale “OM TEATA’ GATE GATE PARAGATE PARASAMGATE BODY SO HA” e la possibilità che ci ha offerto di cantarlo su una melodia lakota, facendolo seguire da altri due mantra, uno lakota, MITAKUYE OYASIN, l’altro della più antica scuola shivaita quella del Kashmir, SARWAM SARWAT MAKAM. Questo canto trasforma l’individuo in persona, lo fa sentire in relazione a tutte le cose, parte di un unico popolo, fratello e sorella di tutto il cosmo manifestato. Quando questo avviene viene scacciata ogni paura, il cuore diviene quieto e di tutte le cose emerge il significato.

Conclusioni: questo documento si inserisce nel dibattito sulla partecipazione di “Bianchi” e non Nativi alle cerimonie ed ai riti tradizionali delle popolazioni nordamericane. La controversa questione ha trovato nel viaggio in Italia di Arvol Looking Horse, pochi anni or sono, un punto che secondo alcuni può essere considerato definitivo, con l’affermazione che in nessun caso un bianco può condurre un rito o anche solo parteciparvi. Nemmeno possedere una penna d’aquila sarebbe consentito, o cantare un canto sacro, o usare un tamburo. Noi portiamo la nostra esperienza, ormai più che ventennale e ci pare di poterla proporre come cosa onesta. Nulla, mai è stato fatto, da parte nostra, se non nel rispetto e nell’amore per quelle culture; sappiamo che ben altro è il comportamento di associazioni e gruppi che, richiamandosi alle pratiche religiose e spirituali native altro non fanno se non giocare a fare gli indiani (quando va bene), o addirittura le sfruttano per abietti motivi economici e di “prestigio” personale. I Lakota li definiscono: “Indiani di plastica” e ci hanno sempre invitato a stare lontani da queste persone. Alcuni anni fa un gruppo di questi, sfruttando la conoscenza e la stima che per la nostra relazione con i Nativi nordamericani si era diffusa in Valcamonica, si era insediato  in Val Saviore. Cecil, sentendoci deboli nel contrastarli ci portò il SAGHE’, l’arma tradizionale lakota con la quale il nemico viene ucciso nell’anima appena venga sfiorato dal bastone di frassino, coperto di pelle di visone e nella punta finito con piume d’aquila, campanellini e filo di colore turchese. Non ci fu, naturalmente, bisogno di usarlo, in poco tempo scomparvero dalla circolazione e nessuno più si ricorda di loro.

 Ultima considerazione: nessuna cultura, nessuna dimensione spirituale, se vuole vivere, può rinunciare ad aprirsi e confrontarsi. La chiusura porta al solipsismo ed alla morte definitiva. Ciò vale soprattutto per quei popoli che hanno subito, nel corso del tempo, le violenze più atroci e aperti tentativi di genocidio, fisico e culturale. Dal loro dolore e dalla loro capacità di resistere viene un grande insegnamento e questo insegnamento è racchiuso nel loro mondo tradizionale che si esprime nei riti e nelle cerimonie sacre. Profanarli è partecipare attivamente al genocidio, considerarli solo cosa loro e starne fisicamente e spiritualmente lontani è, altrettanto, una attiva partecipazione al genocidio

MITAKUYE OYASIN-SARWAM SARWAT MACAM   

Italo da Saviore. 

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