Terre da non vendere il parco dell’adamello

Terre da non vendere il parco dell’adamello – Il paese che preferisce i pascoli allo sconto sulle tasse …

Dal Corriere della Sera di Mercoledì 28/11/2007

Brescia: Dalla vendita di antichi alpeggi sarebbero arrivati i fondi per una centrale elettrica pubblica. Ma gli abitanti hanno votato no

Hanno chiesto loro: “Li volete 6 milioni di euro? Vi va di non pagare più le tasse?”.
E quelli hanno risposto: “No, grazie”.

Chi è convinto di sapere già tutto sull’Italia, sulla globalizzazione che ogni cosa appiattisce, sulla dittatura del dio denaro, si faccia una gita fino ai 1.210 metri d’altitudine di Saviore, ai piedi dell’Adamello. Ai circa 1.000 abitanti del Comune bresciano è stato domandato se volessero cedere dei pascoli in disuso da quarant’anni in cambio di una di quelle offerte economiche che, come avrebbe detto don Vito Corleone nel Padrino, “non si possono rifiutare”. Risposta degli abitanti di Saviore (a maggioranza): “Tenetevi la grana. Noi ci teniamo la nostra storia”.Come gli indiani d’America, come gli aborigeni d’Australia, anche il paese della Valcamonica ha scelto di non vendere la sua anima in cambio di soldi, tanti soldi. “Quei pascoli hanno sfamato i nostri genitori e i nostri nonni; per noi gente di montagna vendere un terreno equivale a dichiarare una sconfitta.

E’ difficile da capire per chi vive in città, ma qui è ancora così”: Primo Rossi, ex impiegato delle Poste, ha capitanato il fronte del no che domenica scorsa ha prevalso di stretta misura, appena 19 voti di scarto. Il comune di Saviore possiede da secoli terreni per 9 milioni di metri quadri al di là dell’Adamello, dunque in provincia di Trento. Sono un lascito la cui origine si perde nel tempo e che per secoli è stata la meta degli allevatori di bestiame di Saviore che portavano nella vicina Val di Fumo le loro mandrie: per l’economia dell’epoca era una manna, ma l’ultimo allevatore ha compiuto il tragitto nel ’63. La Provincia di Trento adesso mette sul piatto 6 milioni di euro per avere quei terreni, il comune di Saviore dice sì ma prima indice un referendum tra i suoi cittadini, convinto che si tratti di una formalità. E invece gli abitanti bocciano la proposta.

Esito stupefacente, specie alla luce del “business plan” che gli amministratori locali avevano prospettato. “Esiste una perizia risalente al ’73 – dice il sindaco Alberto Tosa – che valuta quei terreni 193 milioni di lire dell’epoca; al cambio attuale fanno 1 milione e 300 mila euro. La Provincia di Trento ce ne offre 6 e investendo quel “tesoretto” potremmo costruire una centrale idroelettrica che ci frutterebbe 500 – 600 mila euro l’anno. Per Saviore vorrebbe dire cancellare l’Ici e l’Irpef comunali visto che lo stato oggi ci passa 300 mila euro l’anno”. “Per un paese che soffre di spopolamento e non offre alcuna prospettiva ai suoi giovani – incalza Sandro Bonomelli, presidente della comunità montana della Valcamonica – sarebbe stata la rivoluzione. Per dirne una: grazie a quella rendita avremmo potuto portare quassù la banda larga e aprire un call center che avrebbe creato posti di lavoro”. Non è andata propriamente così. “Tutto è stato fatto troppo in fretta – spiega Primo Rossi – cosa che in paese ha creato molta diffidenza: troppi soldi, poco tempo, appena cinque giorni, per dire sì o no. Che cosa ci sarà mai stato sotto?”. è un no scaturito solo dalla mozione degli affetti e dal sospetto? “Ma no, non siamo così sprovveduti. Però ci siamo detti: se la centrale elettrica frutta 500 mila euro l’anno tanto vale fare un mutuo con le banche, estinguerlo in dieci anni e tenersi i terreni – prosegue Rossi – ma ci sono anche questioni ambientali: l’impianto sarebbe sorto a fondo valle in una zona già teatro di frane”.

Ma gira e rigira, è lo spirito della montagna, quello che ha guidato la decisione di Saviore. “Le ultime ferie – spiega Roberto Pradella – le abbiamo trascorse per ricostruire una baita a 2000 metri d’altitudine. è un lavoro che abbiamo fatto gratis, solo perchè chi va in montagna possa avere un riparo. Se non si fanno certe cose, se non si mantiene un legame col passato, questi luoghi sono destinati a morire. Noi siamo fatti così: i soldi vanno bene, ma c’è anche altro nella vita”.

MEGLIO VENDERE / L’ex pastorella “Nostalgia? Era una vitaccia” SAVIORE (Brescia) – “Lasciatelo dire a me, che sono la figlia dell’ultimo allevatore che ha portato il bestiame in Val di Fumo nel ’63: quella era una vita grama e il Comune avrebbe fatto bene a vendere i terreni”. Martina Boldini se le ricorda bene le trasferte al seguito di papà Bernardo su per le mulattiere che portano in Trentino: “Tre giorni di viaggio, a volte anche a piedi nudi per non rovinare gli zoccoli di legno, poi quattro mesi a vivere in una baita mangiando polenta e latte e ogni due settimane noi piccoli dovevamo tornare a Saviore a far provviste”. Una vitaccia, insomma, che Martina non rinnega, ma della quale non sente nostalgia: “Ormai lassù non ci va più nessuno, tanto vale vendere i terreni, specie se questo evitasse agli anziani come me di dover pagare ogni anno 400 euro di bollette al Comune”.

MEGLIO I PRATI / L’ex maestra “Poca acqua per una centrale” – “Ho quasi 90 anni e in vita mia ho sempre fatto la maestra: a generazioni di alunni ho insegnato che per fare l’energia elettrica serve l’acqua. Vi pare che si possa fare la centrale laggiù dove scorre solo un rigagnolo?”. Rita Boldini ha insegnato a scrivere e far di conto a centinaia di abitanti di Saviore e domenica si è schierata per il no alla vendita dei pascoli della val di Fumo. Passeggia per le vie del paese con l’aria di voler riprendere bonariamente chiunque incroci la sua strada, sicura che tutti sono sfilati davanti alla sua cattedra. “Quei terreni – racconta – sono una donazione fatta per ringraziare gli abitanti del paese dell’ospitalità data a una nobildonna. La storia parla chiaro e con i valori della storia non si scherza. Quel patrimonio appartiene alla comunità di Saviore e non può essere alienato per nessuna ragione“.

Del Frate Claudio
Pagina 13
(28 novembre 2007) – Corriere della Sera